Un articolo del Dr Luigi Farina: dolore e ignoranza
La conoscenza ha un prezzo, e questo è il dolore.
È infatti credenza comune che chi più sa, più soffre.
“Beata ignoranza!”, si declama a gran voce. Ma perché?
I sostenitori di questa tesi vivono il dolore alla stregua di un’ineluttabile disgrazia, senza domandarsi quali sono le sue cause, senza applicare ciò che apprendono alla prassi della propria vita, stabilendosi quindi su un piano teorico di conoscenza che inevitabilmente separa dalla vita palpitante. Vedo il dolore, so che esso esiste, e anzi ne sono talmente cosciente da soffrirne in continuazione (Leopardi). Cieca rassegnazione all’esistenza del dolore.
È significativo che l’albero della conoscenza del Bene e del Male sia proibito nel giardino poiché il suo frutto sconvolge la beatitudine paradisiaca primordiale, infrange la perfetta comunione tra Dio e la sua creazione, al cui apice sta l’Uomo, che ne è il legittimo depositario.
Chi si rattrista per l’esistenza del dolore, tuttavia, non vede quanto esso sia necessario. Se infatti l’uomo non avesse l’opportunità di farsi male (sia esso fisico, emotivo, intellettivo) nel suo sempre rinnovato incontro/scontro con il mondo reale, davvero non potrebbe IMPARARE a non ripetere quella dolorosa esperienza che ne è causa. (Tocco il fuoco – il fuoco scotta – non toccherò più il fuoco)
Perciò il dolore è allo stesso tempo conseguenza di una passata ignoranza, e moneta di scambio per una futura conoscenza.
Dunque, se il medesimo dolore riappare periodicamente nella nostra vita, vi è alla sua radice una persistente ignoranza delle sue cause, e ancor più delle sue implicazioni.
Chi afferma che Dio è malvagio in quanto consente la sofferenza, sta quindi – più o meno consapevolmente – affermando la propria totale indisponibilità all’apprendimento.