Thich Nhat Hanh
Di Thich Nhat Hanh l’occidente è rimasto affascinato, entusiasta di quegli aspetti del suo insegnamento all’insegna del pacifismo, della non violenza, dall’animalismo, della presenza nell’adesso. Eppure non sono questi il centro del suo messaggio che egli ha incarnato nella sua vita e nelle sue parole di maestro. Quel centro è il suo radicale non dualismo, quel non dualismo su cui insiste tutta la tradizione zen. Ma il non dualismo di Thich Nhat Hanh non lo troviamo ovunque nella storia dello zen. Il non dualismo che incontriamo solitamente nella dottrina zen è la considerazione che la Realtà assoluta (quella realtà autentica che si presentifica in ogni evento, in ogni ente) è qualcosa di precedente a qualsiasi distinzione tra bene e male. E che proprio grazie a una mente pulita da questo dualismo è possibile accedere a tale Realtà. Come insegna il Terzo Patriarca nell’Hsin hsin ming: La Via Suprema non è difficile se solo rifiuti di preferire. Senza attrazione o repulsione, comprenderai chiaramente.
La via di Thich Nhat Hanh è invece la via dell’accesso a questa Realtà originaria, anteriore alle distinzioni tra opposti, riconoscendo che entrambi gli opposti mi abitano, entrambi gli opposti sono io stesso.
Ripeto: non tanto (come dice lo zen tradizionale): io sono precedente agli opposti, bensì io sono qualsiasi opposto. E vivendo, esperendo questa realtà, l’accesso a quella Realtà autentica che li precede. Ecco, questo è il centro dell’insegnamento di Thich Nhat Hanh: appunto così radicale, così estremo per le nostre menti piccole e dualistiche, che ci è tanto preferibile ricordare il Thich Nhat Hanh più digeribile, più “carino”, moderato: il più comprensibile e quindi accettabile. Quello cioè che non scardina il nostro approccio alle cose, quell’approccio per esempio sempre pronto a prendere parte. Ben diverso da ciò che passa in queste sue parole riguardo alla sua esperienza durante la guerra del Vietnam: “Siamo restati fedeli alla non violenza, senza cedere all’odio. Non avendo preso partito, eravamo perseguitati da entrambe le fazioni […]. Chi lavora per la pace non può vedere nessuno come nemico né fare distinzioni”. Questa era la sua non violenza. L’esatto contrario di quello che solitamente si intende per essa: non una scelta rispetto a un’altra, non un’opzione tra le due, bensì quello stare prima della contrapposizione tra i due opposti, servendo entrambi, non guardando a nessuno dei due come l’oggetto del proprio contrasto, del proprio odio. Su questo insiste tanto la più famosa poesia di Thich Nhath Hanh, “Chiamatemi con i miei veri nomi”, poesia che è da leggere tutta, tanto è intrisa del suo tipico non dualismo, nella quale si dice: Sono una bambina di dodici anni, profuga su una piccola imbarcazione, che si getta nell’oceano dopo essere stata violentata da un pirata del mare, e sono il pirata. Quanto ci opponiamo a questi versi? Quanto non vogliamo toccare la loro verità? Quanto non vediamo in noi questa cosa di cui ci dicono? Quanto non siamo all’altezza di tutto questo? Quanto non solo non ne siamo pronti, bensì non lo vogliamo mai e poi mai essere? Quali versi scriverebbe oggi #thichnhathanh sulle contrapposizioni riguardo alla vicenda Covid19?