LA CO-DIPENDENZA E LA DISTANZA AMOREVOLE
La co-dipendenza, è un “disturbo”, sempre più diffuso, che porta a relazionarsi con personalità disturbate – solitamente personalità depresse, borderline o narcisiste, o persone dipendenti da sostanze – con l’ eroico tentativo di “salvarle” dal loro “male oscuro”.
Tale obiettivo, che tradisce un inconscio desiderio di onnipotenza, non solo non viene raggiunto quasi mai, ma porta il co-dipendente a farsi inghiottire dal problema dell’altro e a diventarne dipendente (co-dipendente appunto) con il risultato di notevoli conseguenze sulla sua stabilità dell’umore e una progressiva auto-distruttività unita a un crescente e dolorosissimo senso di impotenza.
Come capire se sei co-dipendete?
Se sei co-dipendente tendi a prendere dentro di te il dolore di un altro e cerchi di gestirlo. Così ci hanno educato a fare, probabilmente abbiamo avuto dei genitori bambini e abbiamo sviluppato un atteggiamento e una “struttura fisiologica” (il nostro atteggiamento si è radicato nella nostra biologia) incline a fare questo.
Il dolore di un altro è il nostro dolore.
E così accadono due cose:
- Abbiamo un LOCUS DI DOLORE ESTERNO. Cioè stiamo bene o male a seconda di come sta qualcosa FUORI di noi. E che per antonomasia non può essere controllato. Quando l’altro sta bene stiamo bene/ siamo sollevati, quando l’altro sta male patiamo le pene dell’inferno insieme a lui. Da qui la nostra instabilità umorale. Il benessere/malessere dell’altro ci fa vivere sulle montagne russe, e diventa la nostra droga. DROGA che ci provoca dipendenza e assuefazione e ci stordisce e distrae da tutto ciò che ci circonda, inclusi i nostri VERI PROBLEMI (come vedremo dopo). E ancora malediamo l’altro quando stiamo male, e lo amiamo quando stiamo bene, facendo sì che questi diventi a sua volta una vittima delle nostre PROIEZIONI di ODIO e di AMORE. Solitamente un co-dipendente è una persona dotata di GRANDE ENERGIA che mette al servizio dell’altro, ovvero della persona sbagliata. Infatti l’ “accanimento terapeutico” nei confronti del dolore dell’altro – che per antonomasia non può essere controllato – lo porterà pian piano a una crescente frustrazione, senso di inadeguatezza, impotenza, e non raramente franca disperazione. Egli si troverà ben presto a non spiegarsi la contraddizione fra la GRANDE ENERGIA INTERIORE che continua ad avvertire (sebbene in modo via via più flebile e incerta) e lo SVUOTAMENTO/DISSANGUAMENTO dovuto alla profusione di energia per SOSTENERE/SALVARE l’altro. Altro che, invece di farne un “buon uso”, la dissiperà senza neppure utilizzarla per sé (essendo una persona che non è in grado di utilizzare l’energia, nè la propria nè quella altrui, in modo sano e costruttivo – la sensazione è che ogni energia venga inghiottita in un pozzo senza fondo).
- L’ALTRO NON FA ESPERIENZA DIRETTA del proprio dolore. Ci siamo noi che siamo il suo CONTENITORE della sofferenza. L’altro quindi non impara a gestire il suo dolore, perché ci siamo sempre noi “in mezzo”. E tale sofferenza, quindi, lungi dal diminuire, tenderà ad aumentare sempre di più, anche grazie alla nostra collaborazione (per quanto ciò a un co-dipendente possa sembrare la cosa più assurda e tremenda del mondo!). In più – oltre a questo – l’altro avrà da una parte la dolorosa sensazione del NOSTRO ODIO proiettato su di lui (che va ad aumentare ulteriormente la sua sofferenza) e dall’altra parte l’ “inebriante” sensazione del SUO POTERE su di noi. Potere che userà inconsapevolmente a suo favore per evitare di fronteggiare ciò che teme più al mondo: Sè stesso.
Quindi il CO- DIPENDENTE si trova da una parte dissanguato e svuotato della sua grande energia e dall’altra pieno di odio verso colui/colei che (crede) di amare tanto. L’oggetto di tali proiezioni sarà a sua volta sempre più malato e sofferente a causa di un aumento dell’irresponsabilità verso la gestione del proprio dolore, e con la sensazione di essere perseguitato dal co-dipendente che ha sviluppato odio e manie di controllo verso di lui.
Come dire, da questa situazione, nessuno dei due ne esce vincitore.
Quindi che fare?
L’ unico modo per “salvare” entrambi è il distacco amorevole. Il co-dipendente dovrà – proprio per amore ! – diventare un po’ più freddo e distaccato dal dolore altrui. Il che significa anche riuscire a superare il dualismo “ti amo” o “ti odio” molto accentuato nella mente del co-dipendente: o ti amo (e ti possiedo) in assoluto e mi sacrifico a te, o ti odio (e ti allontano) in assoluto perché, non potendoti controllare, mi fai soffrire. Superare il dualismo, significa cercare di ri-unire gli opposti, in un “ti amo sì, ma a maggior distanza”. CI SONO IO E CI SEI ANCHE TU. CI SEI TU, MA CI SONO ANCHE IO.
OGNUNO, NEL BENE E NEL MALE, HA IL SUO MONDO DA GESTIRE e potrà certamente accostarsi all’altro, ma lo farà rimanendo nel PROPRIO CENTRO. E così a questa distanza – solo a questa distanza – si avvicinerà all’altro, senza più farsi INVISCHIARE nel mondo altrui. Che poi tale invischiamento, lungi dall’avere qualcosa di “spirituale” o “sacro” (in senso Cristico), non è altro che un MECCANISMO DIFENSIVO con cui il co-dipendente pensa di risolvere LA SUA DI SOFFERENZA. Se mi dedico alla sofferenza altrui, possa voltare le spalle alla mia, sofferenza che non ritengo di poter gestire.
ESISTO IO. ESISTI TU. IO E TU. E a partire da questo, da questa distanza amorevole, posso anche starti vicino e amarti. Questa volta per davvero.